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Prediche da Lecco/ Benigni, solo barzellette sui Comandamenti

Lecco (Lècch) - Cari lecchesi, con personaggi comici che, in questi tempi sciagurati, dettano il verbo della politica e, ahinoi!, della religione doveva capitarci un Benigni, nei panni del teologo, ad erudire il popolo sui Comandamenti.

RISULTATO. Al di là delle stramberie ascoltate in questa circostanza, a me pare che il risultato della messinscena a cui abbiamo assistito, sia quello di assestare un colpo alla credibilità della Chiesa sulla questione del peccato mortale più insidioso; è, difatti, il peccato contro la purezza, la colpa che maggiormente pregiudica la salvezza delle persone.

TESI RISIBILE. Benigni, e chi lo ha istruito, si è inventato una sorta di falsificazione che la Chiesa avrebbe operato ai danni del 6° Comandamento, affermando che il peccato della fornicazione («Non commettere atti impuri») sarebbe da intendersi come tale in relazione al solo adulterio, e non in rapporto all'impudicizia in generale. Tesi del tutto risibile, persino agli occhi delle logica più immediata, essendo che il peccato di adulterio è oggetto ben specificato del 9° Comandamento («Non disiderare la donna d'altri»), e dunque non avrebbe senso trovarlo in due identici precetti.

GIUSTIFICAZIONI. L'impudicizia è un vizio che risiede nella nostra carne depravata e guasta per la colpa d'origine; vizio così esteso, che, per sentenza dei Padri, precipita esso solo più anime all'inferno, che tutti gli altri uniti insieme. Veramente un tal vizio, secondo il consiglio di San Paolo, non si dovrebbe neppur nominare in mezzo ai cristiani: Nec nominetur in vobis (Efes. V, 3). Ma come tacerne, se è diventato così generale e sfacciato? Molto più che, se c'è vizio che si cerca in tutti i modi di giustificare, è questo.

PREGIUDIZIO. «Le disonestà non sono peccato: o sono peccato da poco, che Dio facilmente perdona»: ecco il pregiudizio che corre oggi specialmente sulla bocca di molti. Ma io domando: la malizia di una cosa dipende forse dal nostro capriccio o dal nostro giudizio fantastico? Allora bisognerebbe cancellare tutto il decalogo. No: per conoscere la malizia e gravità di un peccato non dobbiamo guardare a quello che ne dice il mondo, ma a quello che ne dice Dio.

COSA DICE DIO. Che cosa dice Dio del peccato della lussuria? Apriamo la Scrittura, ch'è parola di Dio; e leggiamo. Ivi la lussuria è chiamata: passione d'ignominia (Rom. I, 26), cosa detestabile (Gen. XXXVIII), delitto pessimo (Gen. XXXVII), turpitudine (Prov. VI), scelleratezza (Gerem. XXVI); ed è più volte messa a fianco della sordida idolatria, ch'è il massimo dei peccati (Gal. V, 20).

PUTREDINE. Ecco le espressioni che usa Iddio parlando di questo vizio. "Chi è disonesto... perderà l'anima sua": si legge nei proverbi (c. VI, 32). "La donna lussuriosa sarà conculcata come il fango della strada": si dice nell'Ecclesiastico (IX, 10). "Il giovane lussurioso è uno schiavo" (Prov. VII). "La putredine e i vermi erediteranno i corpi dei lussuriosi" (Eccli. XIX, 3). "Il disonore sarà su di loro perchè non hanno capito il timor di Dio" (Eccli XXIII, 31). "Chi avrà guardato una persona - dice Gesù nel Vangelo - con animo di desiderarla, ha già peccato nel suo cuore" (Matt. V, 27). E S. Paolo, dopo averci inculcato di non lasciarci sedurre da vane parole, finisce col dire che "né i fornicatori, né gli immondi... entreranno nel regno di Dio" (I Cor VI, 9). Ora - io dico - un peccato classificato con questi termini da Dio stesso e da Lui punito colla esclusione dal regno dei cieli, si potrà giudicare un peccato da nulla?

SEMPRE MORTALE. Che cosa insegnano, piuttosto, i veri teologi su questo peccato? Insegnano che la lussuria, quando è commessa scientemente e volontariamente, è sempre peccato grave, un peccato cioè che non ammette mai parvità di materia. E insegnano ancora che, per peccare gravemente, non occorre in questa materia arrivare a certi eccessi; ma può bastare un pensiero, un discorso, uno sguardo, una libertà indecente, un gesto malizioso, una compiacenza interna, quando sia volontariamente acconsentita. E in questa dottrina non ci sono dubbi o controversie: tutto è certo, tassativo, fuori di questione. Come si potrà dunque sostenere il contrario e chiamare questi peccati cose da poco?

COSA TURPE. Ascoltiamo infine anche la voce della ragione. Ora si sa bene che Dio ha dato all'uomo i sensi, non perché se ne serva a procurarsi delle soddisfazioni effimere, ma per un fine ben più alto, che in questo caso è la conservazione e la propagazione dell'umana famiglia, da Lui sapientemente regolata colla legge santa del Matrimonio. L'uso dunque di tale facoltà nell'uomo non è lecito che entro questi limiti, fuori dei quali diventa cosa turpe, disonesta, contraria all'ordine naturale. Ebbene: che fa il lussurioso? Spezza ogni legge, varca ogni confine e rompe questa bella armonia dell'ordine naturale da Dio con tanta sapienza stabilito.

ORDINE NATURALE. Non basta. L'ordine naturale esige nell'uomo che il corpo sia suddito dell'anima e che la ragione domini sopra gli istinti del senso. E' in questo dominio che risplende la nostra dignità, è per questo dominio che l'uomo sta al di sopra di tutti gli animali, è questo dominio che forma tutta la sua grandezza, la sua nobiltà, la sua gloria. Che se consideriamo questa degradazione non nel semplice uomo, ma nel cristiano, ch'è discepolo e seguace di Gesù Cristo, nel cristiano che professa la legge pura e immacolata del Vangelo, che forma anche col suo corpo un membro del corpo mistico della Chiesa, di cui Gesù Cristo è capo, anima e vita; chi non scorge la malizia e la gravità incalcolabile di un peccato che prostituisce e profana ciò che fu mille volte santificato dall'unione intima con Dio e dai carismi della sua grazia?...

IL PEGGIO. Il peggio però è che la lussuria fa perdere all'uomo anche la fede e l'anima. Per la verità, tutti i peccati destano nell'anima il rimorso, ma nessuno lo desta così forte e pungente come il peccato disonesto. Ora, siccome l'impudico nell'appagamento della sua passione vorrebbe scansare ogni rimorso di coscienza, comincia subito a dubitare della fede, prima occultamente, poi manifestamente, e finisce con negare Dio e anima ed eternità, cadendo così nella più sfrenata incredulità.

GUANCIALE. L'ateismo è un guanciale assai comodo per la disonestà! E la storia sta lì a provare che la causa più ordinaria dell'apostasia dalla fede è l'apostasia dall'onestà... Quando fu che Salomone, così sapiente, si rese idolatra? Quando divenne disonesto. Quando fu che Lutero strappò la Germania dal seno della Chiesa e la gettò nelle fauci dell'eresia protestante? Quando divenne disonesto. Quando fu che Enrico VIII d'Inghilterra sterminò il cattolicesimo dalla terra dei santi, perdette la fede e la fece perdere a milioni di sudditi? Quando divenen disonesto... Ed ecco la storia di tutti gli apostati dalla fede. Ecco la storia anche di molti cristiani d'oggi, che fuggono la chiesa, i sacramenti, che odiano la religione, la combattono...

LA DANNAZIONE. «Lasciate le vostre passioni - diceva il Pascal - e voi crederete!» Sono le parole stesse di S. Paolo: «L'uomo animale non percepisce le cose dello spirito» (I Cor. II, 14). Perciò i Padri della Chiesa predicano in coro esser questo il peccato che conduce le anime più degli altri all'inferno; perché strappando loro la fede, le indurisce sempre più nel male, le rende sempre meno suscettibili di pentimento e le spinge così nell'abisso dell'impenitenza finale, cioè nella dannazione eterna.

INCONTAMINATA. La castità, l'orrore degli atti impuri, è la virtù che frena i desideri carnali e mantiene incontaminata l'anima nostra e il nostro corpo dalle sozzure del brutto vizio. Essa ci è assolutamente necessaria, e tutti, all'interno del nostro stato, abbiamo l'obbligo di conservarla. Essa è, d'altronde tra le virtù morali la più cara a Dio, perché ci avvicina più a Lui, purezza e santità per essenza, e, affrancandoci dalla materia, c'innalza al livello degli Angeli.

MORTIFICAZIONE. Come ottenere questo tesoro? Con la mortificazione dei sensi. E' necessario mortificare gli occhi, che sono le finestre per cui entra nell'anima il peccato. E' necessario mortificare le orecchie, e non esporsi al pericolo di udire discorsi che offendano la bella virtù. E' necessario mortificare il tatto, e non permettersi mai confidenze o familiarità, con persone pericolose. E' necessario mortificare il cuore, tenendolo mondo da ogni affetto e desiderio cattivo; la fantasia, scacciandone con prontezza i pensieri perversi e le lubriche immaginazioni; tutto il nostro essere insomma, fuggendo l'ozio e i divertimenti in cui possa restare offesa la virtù.

GRAN PORTA. Infine, s'ottiene con la preghiera, corroborata dalla frequenza dei Sacramenti, donde potremo attingere l'energia necessaria per superare tutte le lotte e le difficoltà. Così facevano i Santi, e si mantennero puri; e così dobbiamo fare anche noi. Concludo con un pensiero di S. Alfonso de' Liguori. La lussuria, egli diceva, è una gran porta dell'inferno, perchè quelli che piombano, o vi piombano per essa, o non senza di essa.

Fr. Antonino

21 dicembre 2014