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Lecco ricorda il 1943 dell'Anpi ma non ha memoria per una ragazza uccisa dai partigiani

Lecco - Virginio Brivio, sindaco piddino di Lecco, prosegue nella sua opera di ricostruzione storica dei fatti lecchesi relativi al periodo della guerra civile. C'è da dire che procede spedito, sebbene zoppicante, poichè saltella su una gamba sola: la versione partigiana dell'Anpi.

UNA SOLA CAMPANA. Così, dopo aver presentato la squadra pallonara del Lecco in Consiglio comunale, nella stessa sede Brivio ha fatto altrettanto con la rassegna dell’Anpi lecchese, “1943. Quando l’Italia dovette scegliere”: serie di incontri in cui, in mancanza di meglio, viene magnificato un periodo di odio e di sangue sul quale sarebbe meglio per tutti stendere il velo della pietà. Inziativa soprattutto a beneficio delle scuole, per ciò che di beneficio possa derivare dall'aver ascoltato una sola campana.

SILENZI VERGOGNOSI. Dopo la targa storicamente infondata apposta sullo stadio cittadino per giustificare la strage del 28 aprile 1945, cioè l'ammazzamento a sangue freddo di 16 giovanissimi prigionieri fascisti, la rivisitazione continua con i suoi ritorni di fiamma (i fatti d'arme di Erna) e, soprattutto, i suoi silenzi su episodi vergognosi. Tra questi, per averne avuto diretta testimonianza e per essermene interessato personalmente, vorrei ricordare l'eccidio avvenuto il 4 settembre 1944 alle porte di Ballabio. Qui due giovani donne, una appena 18enne, vennero ammazzate dai partigiani assieme al conducente delle vettura sulla quale viaggiavano.

STORIA DI TERESA. Il fratello della ragazza uccisa, Stefano Scaccabarozzi, mi contattò dopo che avevo tentato di ricostruire con le inevitabili imprecisioni quel tragico episodio. Venni così a conoscere la triste storia di Teresa, giovane di Olginate che, dopo aver studiato a Lecco dalle suore di via Cairoli, era stata assunta come impiegata contabile alla “Calvasina Marmi”, nota azienda lecchese allora situata in via Bezzecca ed oggi con sede a Valmadrera. Riporto, di seguito, stralci di quanto scrissi tre anni fa per l'allora Diario di Ballabio, dopo aver ricevuto dal fratello le notizie sulla vittima.

DOLCE E GENTILE. "Nella prima settimana del settembre 1944, la giovane, di bell'aspetto, di carattere dolce e gentile, e molto apprezzata anche sul lavoro per le proprie qualità, fu invitata da una amica la cui famiglia era proprietaria dell'albergo Maggio, nella omonima località valsassinese. Nello stesso albergo alloggiavano la moglie e la bambina del colonnello Gatti, ufficiale fascista, sfollate da Milano" a causa dei bombardamenti anglo-americani sulla popolazione civile. "Quella mattina di lunedì 4 settembre, una splendida giornata di sole, il fato sembrava congiurare contro Teresa Scaccabarozzi. Si era alzata presto, aveva salutato e abbracciato le amiche per mettersi in viaggio alla volta di Lecco e giungere puntuale in ufficio. Ma la corriera che arrivava da Barzio era già piena e le fu impedito di salire".

PASSAGGIO FATALE. Qualcuno informò la giovane che dall'albergo era in partenza un'automobile, diretta a Milano, e che avrebbe potuto chiedere un passaggio. La consorte del colonnello, infatti, doveva tornare in città per una urgenza. "La signora diede volentieri un passaggio alla ragazza, e la vettura con a bordo le due donne e l'autista partì in direzione di Ballabio. A duecento metri dal colle di Balisio, alla curva detta dell'Acqua fredda per la presenza di un ruscello che scende dalla montagna, scattò la trappola partigiana. I guerriglieri crivellarono la vettura a raffiche di mitra: per l'autista e la moglie del colonnello non vi fu scampo, mentre Teresa Scaccabarozzi, colpita alla gola e all'addome, venne trovata agonizzante sul ciglio della strada dai militi della Gnr accorsi dalla vicina caserma di Ballabio".

NEPPURE UNA PAROLA. Teresa, Teresina per i famigliari, morì nell'infermeria del reparto fascista, assistita dal cappellano militare della Guardia nazionale repubblicana. Al sindaco Brivio, intento a illustrare la "memoria" di quel periodo sciagurato, vorrei solo ripetere le parole, cariche di pena, che mi scrisse Stefano Scaccabarozzi: “Mai una parola di compianto è pervenuta dai responsabili di quel delitto”.

Giulio Ferrari

21 settembre 2013