Invia articolo Stampa articolo
Strage di Lecco, lo scrittore Riva spezza l'omertà sui 16 fucilati

L'OMERTA' SPEZZATA. Lecco – Vero sconforto, amarezza e rabbia: ecco cosa suscita la targa posta dal sindaco Brivio sul luogo dell'eccidio di 16 soldati della Rsi. In quella lapide, infatti, c'è "un atto di accusa contro coloro che quel giorno sono da considerare vittime, additati, all'opposto, come colpevoli di un reato inesistente". Con queste parole Giuseppe Arnaboldi Riva spezza l'omertà su un massacro fatto passare per un atto di giustizia. Di seguito l'intervento che lo scrittore ha voluto indirizzare al nostro giornale.

di Giuseppe Arnaboldi Riva. Al ritorno da un viaggio in terra umbra, dopo aver presentato il mio romanzo breve "Parole di Neve" presso la sala Papa Giovanni XXIII, mi sono recato allo stadio per leggere l’iscrizione sulla nuova targa apposta dal Comune di Lecco per ricordare la fucilazione del 28 aprile 1945, alla quale lo stesso sindaco Virginio Brivio aveva accennato nella presentazione del mio libro. Sconforto, amarezza e rabbia sono i primi sentimenti che ho provato.

ODIO FRATRICIDA. La stima verso il sindaco Brivio per la cura dimostrata verso i più bisognosi mi aveva fatto sperare resistesse al desiderio di riaprire il conflitto covato nell’animo di chi vuol continuare a fomentare l’odio fratricida. Avevo sperato proponesse una vera via di riconciliazione, una lettura cristiana di quel tragico evento. Non sarebbe stato difficile per lui, credente e praticante: aveva a disposizione la più bella testimonianza di un prete della Resistenza, don Luigi Brusa, presente, quel tragico pomeriggio di sabato 28 aprile, sul campo dello stadio insieme a monsignor Borsieri e altri due preti (è sufficiente leggere questa relazione per capire cos’è avvenuto). E invece, quando sono arrivato davanti a quella lapide, allibito ho letto un atto di accusa contro coloro che quel giorno sono da considerare vittime di una vendetta di massa, additati, all'opposto, come colpevoli di un reato inesistente.

VERITA' ROVESCIATA. Rattrista vedere che i cattolici come il sindaco Brivio smentiscano il prete della Resistenza don Brusa, facendo contenti gli eredi di coloro che, desiderosi di imporre con l’inganno e la forza, a tutti i costi, e a tutti, la loro egemonia ideologica, hanno seminato contrasti, ritorsioni e vendette negli anni della guerra civile continuando a perpetrare, negli anni seguenti, stragi, anche di preti, ben documentate dalla recente storiografia. La verità è che quel giorno, 28 aprile 1945, non è stato istituito alcun Tribunale (dove sono gli atti?). La verità è che alcuni noti dirigenti politici del Comitato di Liberazione di Lecco, dopo aver suppliziato con ferocia i militari della RSI che si erano arresi al termine della battaglia combattuta il giorno precedente, “hanno allestito una manifestazione tragica di massa” per mostrarsi in quel modo come gli unici liberatori, gli unici autori dell’unità, gli unici tutori dell’ordine e i veri vincitori.

DOVEROSA RIPARAZIONE. La verità è che gli stessi estensori della lapide si vergognano di quanto è accaduto quel giorno (dove sono le foto?). La verità è che quella falsa Liberazione ha sfigurato il volto della città prefigurando una mentalità odiosa contro la vita, subdolamente normata. Un’ultima amarissima considerazione: quei sedici giovani prima di versare il loro sangue sull’erba del nostro stadio avevano ricevuto l’Eucarestia. Un vero credente può comprendere da solo quale sacrilegio sia stato compiuto e quale necessaria riparazione sia doverosa.

Giuseppe Arnaboldi Riva


Lo storico e scrittore Riva restituisce a Lecco un po' di dignità: quella dignità uccisa nella vicenda della targa che ricorda la strage dei giovanissimi militari della Repubblica sociale fucilati il 28 aprile 1945 allo stadio Rigamonti-Ceppi. La lapide di quel tragico episodio è stata rimossa pochi giorni fa per volere del sindaco di Lecco. La sostituisce una targa in cui si afferma la verità dei fuciliatori, ovvero il riferimento alla sentenza di morte emessa da un misterioso "Tribunale di guerra del Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia" e alla "proditoria sparatoria" che i soldati avrebbero compiuto a tradimento dopo aver esposto la "bandiera bianca di resa".

Il nostro giornale ha avuto modo di documentare quanto fosse infondata questa giustificazione. Al riguardo abbiamo riportato la testimonianza dello scalatore e partigiano Riccardo Cassin, in prima fila durante la battaglia cruciale: "In un'ala del fabbricato non si erano accorti che il loro comandante aveva esposto la bandiera bianca". Dunque, chi continuò a sparare non lo fece "proditoriamente", ma solo perchè non sapeva della resa. Significativa, poi, la relazione dell'allora rettore del Santuario della Vittoria in cui i fucilati vengono chiamati "bravi giovani": difficilmente il sacerdote Brusa, che li aveva tutti confessati e comunicati ed era nella condizione di conoscere le loro colpe, li avrebbe definiti così se fossero stati colpevoli di aver sparato a tradimento.

Queste ed altre testimonianze dimostrano che la fucilazione di Lecco fu un episodio vergognoso di cui ora si rifiuta la memoria per ciò che fu, come accade per altri omicidi compiuti da partigiani nella zona, a cominciare dall'uccisione di due giovani donne (una appena 18enne) avvenuta poco fuori Ballabio nel settembre del '44. L'intervento di Giuseppe Arnaboldi Riva colma un vuoto di onestà intellettuale della Lecco che si barcamena tra l'opportunismo politico e un buonismo di pura facciata.

Giulio Ferrari

Nella foto: la lapide coi nomi dei fucilati nello stadio, imbrattata prima di essere rimossa.

29 aprile 2013