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Strage di Lecco, ancora menate sulla targa ai fucilati della Rsi

LA GUERRA... AI MORTI. Lecco - Non finiscono le menate sulla targa ai ragazzi della Repubblica sociale italiana fucilati nello stadio Rigamonti Ceppi a guerra finita. Un antifascismo compulsivo che si esprime in oltraggi alla lapide (nuovamente imbrattata) e nella polemica sul suo contenuto. Intanto, le famiglie e i lavoratori sono alle prese con questioni molto più serie e attuali...

I FATTI. Il 26 aprile del '45 giunsero a Lecco i superstiti di due reparti dell'esercito della Repubblica sociale italiana. Si trattava di circa 150 soldati in rotta, appartenenti ai battaglioni Leonessa e Perugia: le ultime leve dell'Italia fascista, legionari giovanissimi, in larga parte neppure ventenni. I soldati erano diretti a nord, probabilmente ad un campo americano di raccolta dei militari fascisti. Alle porte di Lecco, però, furono affrontati da un numero molto superiore di guerriglieri appartenenti a formazioni partigiane comuniste. I soldati resistettero per due giorni, poi, avendo quasi finito le munizioni, si arresero. Nelle ore successive alla resa avvenne la strage: 16 ufficiali e sottufficiali "ragazzini" vennero fucilati, in seguito alla sentenza di un cosiddetto tribunale del popolo.

L'ACCUSA DI TRADIMENTO. La strage venne (e viene tutt'ora) giustificata con un episodio ambiguo: quando i soldati si arresero, qualcuno di loro continuò a sparare e alcuni partigiani persero la vita. I fascisti, infatti, furono accusati di aver alzato bandiera bianca per poi fare fuoco proditoriamente. Una versione smentita dal grande alpinista Riccardo Cassin, che, da partigiano e uomo di valore, partecipò in prima fila alla battaglia di Lecco contro quei militari dei battaglioni Leonessa e Perugia della Repubblica sociale italiana.

TESTIMONIANZA DI CASSIN. "Io stesso - dichiarò Cassin in una intervista a Patria Indipendente, mensile dell'Anpi, del dicembre 2002 - venni ferito il mattino del 27, mentre dalla massicciata della ferrovia sparavo con un bazooka sui repubblichini asserragliati in un caseggiato. Caddero altri amici, Italo Casella, Angelo Negri, il liceale Alberto Picco, prima della resa degli assediati. Farfallino e altri tre saltarono su per la gioia: vennero fulminati sul posto da una raffica. In un'ala del fabbricato non si erano accorti che il loro comandante aveva esposto la bandiera bianca". Dunque, il tradimento non vi fu poichè, come testimonia Cassin, da quell'ala del fabbricato la bandiera bianca non si vedeva. I 16 graduati dell'esercito della Rsi, insomma, vennero condannati a morte ingiustamente.

ANCORA LORDATA. La testimonianza di Cassin non comparirà nella targa che, per iniziativa della maggioranza consiliare di Virginio Brivio, verrà apposta in sostituzione di quella già esistente, giudicata troppo "neutrale" dall'estrema sinistra. Sulla nuova targa, che tarda ad arrivare per divergenze sul testo definitivo, ci sarà scritto che "i militi si erano resi responsabili il giorno 27 aprile di tradimento, esponendo una bandiera bianca in segno di arresa, a cui seguì una sparatoria che costò la vita a numerosi partigiani". Il consiglio comunale aveva deciso la sostituzione entro la fine dell'anno, intanto non si ferma l'antifascismo compulsivo di chi, per l'ennesima volta, ha lordato con vernice la targa in ricordo delle vittime dell'eccidio.

Nella foto: la targa con i nomi dei soldati fucilati il 27 aprile 1945; un giovanissimo caduto del battaglione Leonessa.

24 dicembre 2012