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Venturini, la sposa straniera, i bimbi e le disinvolture sulla Costituzione

Egregio direttore, è un giorno speciale, oggi mia moglie acquisirà la cittadinanza Italiana, ma il pensiero si collega aglioltre 5milioni di persone di origine straniera che vivono nel nostro Paese. Una diversità che oggi sta diventando unaregola: bambini stranieri con nomi italiani, che parlano l’italiano, ma con genitori stranieri che vivono, lavorano econtribuiscono a tutti gli effetti alla nostra crescita economica anche, e soprattutto, in questi momenti di grave crisi mondiale.

Bambini che nascono e vivono in Italia, come tutti gli altri bambini, che imparano la nostra lingua, frequentano la scuola acquisendo nel nostro Paese gusti, cultura e abitudini. Bambini che conoscono a malapena il paese di origine dei genitori solo se questi, decidono e hanno la possibilità economica di farli viaggiare: bambini stranieri nei "loro" paesi, diversi dai loro coetanei per ragioni, ad alcuni di noi incomprensibili, ma ovvie.

L’articolo 3 della nostra Costituzione stabilisce il principio dell’uguaglianza tra le persone, impegnando la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che ne impediscano il pieno raggiungimento. Molti sono bambini e ragazzi nati o cresciuti in Italia, ma che solo al raggiungimento della maggiore età potranno vedersi riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, iniziando nella maggior para dei casi un lungo percorso burocratico. Non è questa certo la strada per un’integrazione piena. Un criterio d’inclusione e di esclusione tra chi è cittadino di uno Stato e ha una serie di diritti, e chi non è cittadino e ne è escluso. La cittadinanza è quindi una condizione (o status) dell'individuo appartenente a uno Stato, al quale è attribuito un insieme di diritti e di doveri. Un’integrazione spesso troppo esaltata che si fa eroina misericordiosa di quella mezza verità tra dei doveri pretesi e sacrosanti diritti negati. Ma un bambino indipendentemente da qualsiasi discussione o logica è sempre un bambino .

Ezio Venturini
(Consigliere comunale di Lecco dell'Italia dei valori)


Egregio consigliere,
mi permetterà di esprimere felicitazioni alla signora Venturini e dissenso per le affermazioni del marito. In tutta sincerità, credo che la campagna per l'attribuzione della nazionalità italiana ai figli degli stranieri sia una gran bufala o, peggio, una grossolana strumentalizzazione politica. Comincio dalle sue affermazioni sulla Costituzione. Il Diritto non è opinabile, per il legislatore le parole hanno senso preciso. Ebbene, non esiste alcun articolo 3 della nostra carta fondamentale che sancisca, come lei dice, "il principio dell'uguaglianza tra le persone" nell'universo mondo. Vi si afferma, invece, che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, razza, lungua, religione" eccetera, eccetera. I cittadini, non le persone in generale!

Cioè, si parla di coloro che posseggono la cittadinanza italiana. La Costituzione distingue con molta precisione tra il cittadino e chi cittadino non è. E nelle "disposizioni sulla legge in generale", che intervengono sugli ambiti di applicazione del dettato costituzionale, al capo II art. 16 si opera tale distinzione prescrivendo che "lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità". Insomma, nella Costituzione cittadini e stranieri non posseggono identiche prerogative. E neppure gli stessi doveri, altrimenti anche l'immigrato sarebbe tenuto a servire la Patria in armi (quando sussisteva l'obbligo della leva militare, oppure in caso di ipotetico conflitto) cosa che mai qualcuno si è azzardato a sostenere. Ciò detto, vorrei rilevare che nessun figlio di straniero, per il fatto di possedere la nazionalità del proprio paese (marocchina, piuttosto che americana o svizzera) e non quella italiana (almeno sino alla maggior età), si sentirà mai sminuito o verrà privato dei fondamentali diritti che spettano ai "nazionali". Lo dimostrano le scuole zeppe di figli di stranieri, l'assistenza sanitaria che non viene negata neppure ai clandestini, le attività che impegnano mano d'opera d'importazione.

La "discriminazione", semmai, avverrebbe al compimento dei 18 anni, con l'attribuzione o meno del diritto di voto. Ed è precisamente allora che il figlio di stranieri nato su suolo italiano può decidere la propria appartenenza ed ottenere anche la facoltà elettorale. Il problema, in realtà, è di rispetto della persona. Compiuta la maggiore età, un giovane di origine straniera può decidere con la sufficiente maturità se mantenere la nazionalità dei propri padri o acquistare quella del paese ospitante: una scelta simile non può essere fatta da altri, genitori compresi, per conto di un minorenne. Tutto ciò considerato, la lacrimuccia sui bambini senza tricolore, sinceramente, mi pare eccessiva.

Giulio Ferrari

1 dicembre 2011