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“Je ne suis pas Charlie”: Lecco è estranea alla cristofobia blasfema

Lecco (Lècch) - Caro direttore, quei fatti di Parigi suscitano in me sincero orrore e soprattutto preoccupazione, ma le chiedo: devo, forse, sentirmi in colpa se, come cattolica, non riesco a identificarmi con la redazione di quel giornale, sino al punto di pronunciare il fatidico "Je suis Charlie"?

Le spiego il mio dilemma. Quando ho cercato di conoscere Charlie Hebdo su internet, per capire cosa avesse scatenato la furia degli islamici, mi sono imbattuta, soprattutto, in copertine e disegni di una oscenità morbosa e delirante che, a parte Maometto, insultano il nostro Dio, la Vergine, e quanto di più sacro c'è nella religione cristiana. Me lo dice lei come posso non disprezzare, persino condividere, quel Charlie bestemmiatore?

Paola Colombo

Gentile signora, non si ponga il problema. Un «je ne suis pas Charlie», con parole mie, ho già avuto modo di pronunciarlo qualche giorno prima che la redazione del settimanale venisse spazzata via da un vile attacco di killer islamici in cui hanno perso la vita, ricordiamolo, anche due agenti della polizia francese.

In Francia, durante le festività natalizie, mi è capitata sotto gli occhi la copertina di Charlie Hebdo, che faceva pessima mostra di sè nelle locandine delle edicole: un'immagine della "nascita" di Gesù che ripugna descrivere.

In un certo senso, mi è andata pure bene: tempo prima, infatti, avrei potuto incappare nella copertina che raffigurava il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo avvinghiati in un triplice amplesso sodomitico: oscenità ben esposta alla vista di tutti, bambini compresi, anche nei raccoglitori di tutti gli ipermercati transalpini.

Dunque, sarebbe la bestemmia volontaria, meditata e graficamente realizzata (con cornice di chiappe spalancate, onnipresenti genitali e bocche sbavanti) l'alta espressione culturale della società laica europea, quella a cui i barbari maomettani dovrebbero riferirsi per apprendere un progredito stile di vita?

Le tristi "conquiste" del laicismo francese, improntate a una patologica cristofobia, sono estranee all'intelligenza dei lecchesi. Qui vale ancora l'espressione con cui San Guanella definiva la bestemmia: «Dio insultato da un verme». E, dovendo riconoscerci in qualcuno, pur esprimendo il nostro cordoglio per le vittime, preferiamo un «je suis don Guanella».

CdL

10 gennaio 2015