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Lecco teme il calo demografico, ma il vero problema si chiama sovrappopolazione

Lecco (Lècch) - In testa a tutte le paure più o meno fondate del nuovo Millennio si colloca, con prepotenza, la fobia del calo demografico.

DESERTO. I dati statistici dimostrano una costante, peraltro lieve, diminuzione della popolazione lecchese e già più di un ansioso paventa il deserto dei tartari sotto il Resegone, mentre gli ideologizzati si sbracciano a benedire l'immigrazione straniera.

TUTTE BENE. Entrino, dunque, nello spopolato Belpaese frotte di uomini e donne che poco o nulla hanno a che fare con la nostra storia e cultura, salga alle stelle il numero dei reati, si abbassi il livello salariale in virtù dell'inflazione nell'offerta di manodopera, si riaffaccino terribili malattie che avevamo debellato da molti decenni, cresca il rischio del terrorismo d'importazione, s'impenni la pressione fiscale per allargare la coperta dello stato sociale, vengano smarriti e confusi identità e valori del nostro popolo... tutto bene, purchè il livello demografico torni attivo.

LA RISORSA. Ma da dove nasce e su cosa si fonda l'idea che l'aumento o, almeno, il mantenimento della quantità di popolazione sia una tal risorsa da pagare a caro prezzo? Nasce e si fonda sulla paura, anzi, soprattutto su una paura: quella che lo Stato non potrà prendersi cura di noi quando diventeremo vecchi, perchè saranno in pochi a pagare le tasse e, quindi, a contribuire alla nostra pensione.

MECCANISMO. Un meccanismo bugiardo. L'allucinante imposizione fiscale del Belpaese supera ampiamente il 50% del nostro stipendio. Si dice, infatti, che un italiano lavori per lo Stato sino a luglio e cominci a lavorare per sè dall'estate in poi. Considerato che in pensione, ormai, si giunge a 65-70 anni suonati, anche uno scolaretto può rendersi conto che i 15-20 anni di vitalizio (per i più fortunati) sarebbero stati ampiamente coperti dalle tasse sulla vita attiva.

PERSI PER STRADA. Invece lo Stato ha "perso per strada" i nostri soldi, in quanto li ha già destinati (oltre che a mantenere casta, clientele parassitarie e malaffare) al cosiddetto welfare, dalla Sanità alla Scuola. A parte il fatto che anche riguardo a queste spese l'anziano ha "già dato" lungo tutta la sua esistenza, si arriva all'assurdo che, per pagare le nostre pensioni, con l'innesto di immigrati si aumenti il numero delle persone a carico del welfare, cioè si ingigantisca proprio quella spesa pubblica che assorbe le risorse provenienti dalla busta paga dei futuri pensionati: per dirla in parole povere, con i nostri soldi non riusciamo a pagarci la futura pensione, perchè questi quattrini vanno nel calderone dello Stato sociale anche a beneficio di coloro che, un domani, dovrebbero pagarci la pensione! Demenziale, ma tant'è.

DISOCCUPATI. La maggior fonte di spesa di una comunità, infatti, è la stessa sovrappopolazione che, oltre al welfare, presenta di per sè un incremento di costi che si riverberano sulla stessa qualità della vita: basti pensare alle ricadute sociali dell'inquinamento o della disoccupazione, tra i fenomeni riconducibili all'eccesso di popolazione. Come si rileva la situazione di sovrappopolazione? Un marcatore molto semplice si ricava dalla percentuale di disoccupazione. Se non si trova facilmente lavoro per tutti, o meglio possibilità di scelta adeguata, significa che siamo in troppi. Impensabile che si continui ad importare manodopera straniera, come da noi accade, quando gli elenchi di disoccupati sono saturi di immigrati, oltre che di italiani.

ESPONENZIALE. In conclusione, se cala la popolazione nel Lecchese non dovremmo farne un dramma, perchè ancora risentiamo di un livello di crescita esponenziale verificatosi negli anni '60, con una densità di popolazione superiore persino a quella di molti Paesi nordafricani da cui attingiamo immigrati per... bilanciare il calo demografico! Nel 1861 Lecco contava "appena" 16mila abitanti, oggi si colloca sotto i 50mila, soglia che aveva superato nel 1971. Il calo demografico, di fronte all'incremento abnorme della popolazione subìto dal nostro territorio, può diventare un fattore di riequilibrio e, persino, di ringiovanimento sociale, offrendo maggiori opportunità e prospettive, lavorative e dunque famigliari, alle nostre nuove generazioni.

Alessandra Consonni

25 febbraio 2015