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Predica da Lecco / Il Sinodo sulla famiglia e il rischio dell'inferno

Lecco (Lècch) - Cari lecchesi, in questi giorni assisto a qualcosa di surreale e deprimente: alcuni membri della attuale gerarchia ecclesiastica discettano del modo per far sentire più tranquille e a proprio agio persone che, pure, vivono in gravi situazioni di peccato e che, se non distolti dalla loro infelice condizione, rischiano fortemente l'inferno per l'eternità.

DELICATEZZE. Parliamo di certe prese di pozione nell'ambito del Sinodo della famiglia, dove vengono esposte, al momento senza particolare successo, una serie di "delicatezze" verso coppie di divorziati da matrimonio religioso che convivono (trattasi del peccato di adulterio, poichè Cristo ha voluto indissolubile l'unione sacramentale) e pure verso soggetti del medesimo sesso, caduti nel tristissimo peccato di sodomia che, insegna la Dottrina, "grida vendetta al cospetto di Dio".

SOCCORRERE. Di fronte a mali tanto gravi, l'autentica sollecitudine del buon pastore consisterebbe nel soccorrere le pecorelle in pericolo di morte eterna, estirpando da loro il cancro del peccato. Al contrario, incredibilmente, ascoltiamo surreali conciliaboli, aperti dalle ambigue parole di Papa Francesco che ha raccomandato ai convenuti di «non caricare le famiglie di fardelli troppo pesanti». Ma di quali fardelli si tratta? Forse quelli della virtù che conducono alla salvezza? E di quali famiglie si tratta? Forse quelle degli sposi cristiani a cui Dio impone il dovere della fedeltà e della castità coniugale?

SALVEZZA. In realtà, almeno stando al messaggio giunto agli organi d'informazione e, loro tramite, al popolo, le questioni centrali di questo Sinodo riguarderebbero l'ammissione dei divorziati da matrimonio religioso (e risposati civilmente) ai Sacramenti, e un qualche riconoscimento delle cosiddette coppie omosessuali. Orbene, non occorre un Sinodo per dire che tutto ciò è impossibile e va contro la salvezza stessa delle persone che, disgraziatamente per loro, si trovano in queste condizioni.

SACRILEGIO. Occorre sapere che il Sacramento della Comunione, che è l'accostarsi materialmente a Dio tramite il Corpo di Cristo transustanziato nella particola consacrata, si può ricevere solo in assenza di peccato mortale, quindi in seguito a Confessione sacramentale, la quale, per essere valida e non sacrilega, impone il fermo proponimento di rifiutare il peccato e fuggirne le situazioni che lo agevolano o configurano. Ovviamente, se il divorziato sacramentale mantiene il nuovo e illecito legame, compie un sacrilegio accostandosi ai sacramenti.

SCREDITARE. I faciloni e quanti hanno interesse a screditare la religione rivelata, sostengono che la stessa Chiesa non considera indissolubile il sacramento del matrimonio, e portano l'esempio della Sacra Rota che, a dire loro, opererebbe "divorzi" e annullamenti di tale sacramento. In realtà, la Chiesa non "annulla" nessun matrimonio, ne sancisce la sua invalidità. Cioè quel matrimonio, per svariate cause che devono essere accertate, non è mai stato celebrato validamente e, dunque, il sacramento non c'è mai stato. Il tutto in aderenza alla parola di Cristo: «L'uomo non divida ciò che Dio ha congiunto (...) Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un'altra, commette adulterio», Matteo 9, 6-10.

FIAMME E DISAGIO. Assurdamente, chi comanda oggi nella Chiesa sembra più preoccupato di non far sentire a disagio chi rischia di finire tra le fiamme eterne. Quegli stessi che si trovano in una situazione tanto terribile da togliere il sonno, perchè nessuno sa quando è la sua ora e «il Signore arriva come un ladro nella notte» (1 Tessalonicesi 5,1-2), si agitano per ottenere ciò che non può giovare loro minimamente, anzi può solo peggiorare le cose, perchè il sacramento della Comunione indebitamente ricevuto comporta un sacrilegio e «chi mangia il pane e beve il calice del Signore indegnamente, mangia e beve la propria condanna», (1 Cor 11, 27-29).

RIFLETTERE. Qual è, dunque, la vera carità cristiana? Mettere a proprio agio chi è incamminato verso l'inferno, o metterlo in guardia dal rischio che corre? Con l'umiltà di esseri umani che condividono la miseria della condizione terrena ed il pericolo del peccato, gli uomini di Chiesa hanno il dovere di parlare onestamente e far riflettere coloro che avanzano pretese indebite per chi sceglie il peccato: lamentate l'esclusione dai sacramenti e con le vostre mani vi condannate ad essere confinati per l'eternità nell'inferno? Ecco ciò che Dio riserva ai peccatori impenitenti: «Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno...» (Mt. 25,41).

PATIMENTI. Come ai santi ha promesso, per l'eternità, vita beatitudine e regno, così agli empi impenitenti il Signore ha minacciato le peggiori sofferenze per sempre. Come non è possibile trovare nelle cose temporali un godimento che neppure si avvicini al gaudio della vita eterna, così nessuna sofferenza temporale è paragonabile ai patimenti riservati per l'eternità ai reprobi non ravveduti: il senso di questa vita, altrimenti insensata, è tutto qui. A chi non accoglie la promessa di Cristo, il Sinodo dovrebbe ricordare, almeno, la Sua minaccia.

Fr. Antonino

12 ottobre 2014