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Lecchese vuoi lavorare? Diventa un romeno: accetta di farti tagliare del 30% lo stipendio

Lecco (Lècch) - Contrastare le delocalizzazioni? Frenare l'immigrazione straniera? Sacrosante istanze dei lavoratori, rimaste vuote parole d'ordine a causa dell'inettitudine di chi, cavalcando quelle battaglie, ha saputo ottenere soltanto lucrose poltrone per sé. E, ora, si può passare alla seconda fase dell'attacco: l'annientamento dei salari.

FASE UNO. Ma veniamo alla fase prima. I grandi gruppi economici hanno propugnato una apertura delle frontiere più "generosa" possibile. Dietro all'improbabile buon cuore verso i poveri, si cela il tornaconto dei ricchi: in questo caso, inflazionare l'offerta di braccia sul mercato del lavoro allo scopo di mantenere bassi i livelli salariali. Non per nulla, le organizzazioni della grande industria hanno puntualmente sollecitato ingressi sempre più ampi di stranieri, "dimenticando" di invitare i propri aderenti ad attingere alle liste dei lavoratori disoccupati, nel frattempo, straboccanti di immigrati senza lavoro.

FASE DUE. Passiamo alla fase due. L'afflusso immigratorio, la mancata attuazione di misure che disincentivino le delocalizzazioni, oltre allo shopping di imprese locali da parte di multinazionali straniere, stanno favorendo il nuovo e decisivo attacco ai salari (già da miserabili, specie in rapporto al costo della vita e alla pressione fiscale). Quanto sta accadendo alle Trafilerie Brambilla è solo l'inizio di quella che, se non verrà bloccata sul nascere, diventerà presto un'azione diffusa: imporre diminuzioni degli stipendi "in cambio" del mantenimento del posto di lavoro.

SILENZIO POLITICO. A Calolziocorte, i vertici della Celik Halat, azienda del settore dell’acciaio parte della holding Dogan che ha acquisito la fabbrica di famiglia della deputata di Forza Italia, hanno comunicato la loro intenzione di assumere solamente 50 dei 75 lavoratori, riducendo loro lo stipendio del 30%. Il tutto sta accadendo nel silenzio della politica lecchese e della stessa Brambilla che, pure, si è recata alla sede della Lega nord di Lecco... a firmare due referendum pro lavoratori (su Fornero e immigrazione)!

PEGGIO DEGLI STRANIERI. Ora, in sostanza, ai lavoratori lecchesi si chiede di essere "concorrenziali" alla manodopera romena o cinese, decurtando del 30% stipendi che sono già tra i più bassi d'Europa, in presenza di una tassazione sulle famiglie che è la più alta del Vecchio Continente. E qui i padani vengono trattati peggio degli extracomunitari, perché, a parità di stipendio, gli immigrati godono, comunque, di compensi che "rendono" dalle 5 alle 10 volte e più rispetto a quelli dei loro compagni di lavoro.

NEL PAESE D'ORIGINE. Come? Agli stranieri basta investire (o mettere in banca) una parte della paga nel paese di origine, dove l'euro ha un valore e un potere d'acquisto molto superiore alle valute locali, e in breve si diventa benestanti a casa propria. Nessuno parla di questi meccanismi di money transfer che, in prospettiva, permetterebbero agli stranieri di sopportare persino le decurtazioni degli stipendi ed "espellere" i nostri lavoratori dal comparto produttivo.

LAVORATORI CONTRO LAVORATORI. In tale contesto va osservato, a scanso di fuorvianti conclusioni, come il danno principale venga prodotto da una classe politica che ha permesso di usare lavoratori contro lavoratori. E se le maggiori colpe sono in capo ai politici, certamente le responsabilità di questo attacco vanno ascritte agli altri soggetti in gioco, a cominciare dai gruppi economici ed alla loro claque progressista.

ACCETTARE L'ELEMOSINA. Colpevoli, per la loro parte, anche quegli immigrati, spesso provenienti da aree (come il Nordafrica) dove il tasso di disoccupazione è inferiore a quello italiano, che anelano ai "preziosi" euro e ai miti del consumismo occidentale. E colpevoli anche i "locali", se svendono la propria dignità e quella degli altri lavoratori, accettando di lavorare per dei salari sviliti ad elemosina.

Alessandra Consonni

1 giugno 2014