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Quei ragazzi ammazzati a Lecco fanno paura: “a morte” la lapide?

Lecco - Non bastavano i ricorrenti vandalismi di qualche improbabile Che Guevara della bomboletta spray: a Palazzo Bovara si discute la rimozione della piccola targa alla memoria dei 16 giovani ufficiali e sottufficiali repubblicani che oggi riposano nella cripta del Santuario della Vittoria.

NEGARE IL RICORDO. Il Consiglio comunale di Lecco sottrae tempo ai vivi: deve occuparsi dei morti per negare loro il ricordo o, almeno, rivisitarne "politicamente" la memoria. Lunedì sera in programma ci sarà un ordine del giorno dell'Italia dei valori che pretende di togliere la minima lapide posta sul retro dello stadio cittadino dove, il 28 aprile 1945, 16 ufficiali e sottufficiali repubblicani vennero fucilati dai partigiani comunisti dopo la sentenza di un cosiddetto tribunale del popolo.

LA FACCENDA DELLA BANDIERA. Pare che il sindaco Virginio Brivio non condivida l'accanimento contro la targa ai caduti fascisti e, invece di rimuoverla, pensi di affiancarvi un'altra lapide con la verità dei partigiani: e cioè che i militari vennero fucilati perchè continuarono a sparare dopo aver issato la bandiera bianca. Una versione sempre negata con sdegno dai reduci dei reparti "Leonessa" e "Perugia" protagonisti di quella drammatica vicenda. I resti delle due formazioni della Repubblica sociale italiana, che stavano ripiegando verso Como (non si sa bene se per arrendersi agli americani o per raggiungere la Valtellina), vennero affrontati da un numero molto superiore di partigiani alle porte di Lecco. Dopo due giorni di dura battaglia, ormai prossimi a terminare le munizioni, i soldati avrebbero trattato la resa ottenendo l'onore delle armi e il salvacondotto che avrebbe permesso loro di tornare alle proprie famiglie. Caduti prigionieri, invece, vennero picchiati a sangue e, come accaduto in diverse altre zone ai reparti di fascisti che si erano arresi, ufficiali e sottufficiali furono fucilati con false accuse. Queste, in sostanza, le due versioni dei tragici avvenimenti.

IL RETTORE DELLA VITTORIA. Tra le due versioni, si inserisce la testimonianza dell'allora rettore del santuario della Vittoria, il sacerdote Luigi Brusa, che così descrisse l'incontro coi militari fascisti condannati a morte nello stadio di Lecco: "Non vi posso dire la gioia di questi bravi giovani quando si son visti vicino a loro il Sacerdote di Dio. Tutti si sono Confessati ed hanno ricevuto la Santa Comunione pochi istanti prima della morte. La scena era commoventissima. Abbracciai quei giovani ad uno ad uno e dissi loro: ti bacio e ti abbraccio a nome dei tuoi cari". Ebbene, il sacerdote in altro documento il cui testo qui sotto riportiamo, pare conoscere l'accusa mossa ai soldati: per "aver fatta la resa durante il combattimento, avevano procurato delle morti nelle file dei partigiani". L'episodio, dunque, si sarebbe verificato nel corso dei combattimenti, con militari e partigiani asserragliati nelle case, che si sparavano da palazzi diversi e non su due campi ben definiti dove sarebbe stato possibile a tutti vedere e rispettare una bandiera bianca. Difficile pensare che il sacerdote potesse chiamare "bravi giovani" dei soldati che sparano a tradimento, e ancor più improbabile, in tal caso, che i partigiani offrissero la definitiva resa con onore. Non mancano, dunque, dubbi su un episodio per il quale, ad oltre mezzo secolo di distanza, si vogliono imporre presunte verità mentre sarebbe lecito attendersi il momento della pietà.

L'ORA DEL CORDOGLIO. Il sentimento del cordoglio, invece, può scaturire dalle memorie di mons. Brusa sui due comandanti. L'anonimo capo del plotone di esecuzione crivella di proiettili i condannati a morte e bestemmia, suscitando la commiserazione del sacerdote: "Mi fece pena il fatto che, caduti, i Giovani, l'ufficiale comandante tentava di sparare il suo colpo di mitra verso i Caduti che ancora respiravano e siccome aveva il mitra scarico, pronunciando una bestemmia, toglieva ad un suo soldato l'arma per completare l'opera". Al contrario, l'ufficiale più alto in grado dei fascisti condannati, esprime sentimenti cristiani. "Il Capitano Dal Monte scrive: Miei cari genitori, fratello e sorella, Muoio col solo dispiacere di lasciarvi; ma ho la coscienza tranquilla di aver fatto il mio dovere, per la santissima causa della Religione, della Patria e della Famiglia. Muoio col Signore nell'anima, perché ho fatto la Santa Comunione". Ma anche per il comandante dei fucilatori giunse il momento della pietà. Il 25 aprile '69 venne trovato un mazzo di garofani rossi sulle tombe dei fascisti fucilati, accompagnato da un biglietto: "Siete morti inutilmente come i nostri caduti. Colui che comandò il plotone d'esecuzione vi ricorda". E' così difficile imparare qualcosa dalla storia?

IL DOCUMENTO

"RELAZIONE DEL RETTORE DEL SANTUARIO DELLA B. V. MARIA DELLA VITTORIA, Sac. LUIGI BRUSA, sul doloroso episodio della fucilazione dei sedici repubblicani, avvenuto il 28 APRILE 1945 ore 17".

 A un anno dalla fucilazione dei sedici giovani Repubblicani, la scena è ancor viva davanti al mio sguardo. Nei giorni dell'insurrezione, 26-27-28 aprile 1945, vennero arrestati 160 Repubblicani della Brigata Perugia che da Bergamo transitavano per Lecco: erano diretti, credo, in Valtellina. La colonna, dopo una notte ed una giornata di resistenza, dovette cedere le armi e furono arrestati a Pescarenico dai partigiani e tradotti alle scuole di via Ghislanzoni. Al mattino del sabato 28 aprile ebbi sentore che qualche cosa di grave stava per succedere e con due Confratelli, sacerdoti Aldo Cattaneo e M. Gazzi, mi portai a dette scuole per potere avvicinare i giovani detenuti e possibilmente portare il conforto del Ministero sacerdotale.

Dal comportamento di chi presiedeva alla prigione (certo Piero) venni in sospetto che si stavano prendendo decisioni a carico di 16 giovani, in prevalenza Ufficiali della Brigata Perugia, che per aver fatta la resa durante il combattimento, avevano procurato delle morti nelle file dei partigiani. Visto che il tentativo presso la direzione delle prigioni di via Ghislanzoni non mi dava alcun affidamento, mi fece premura di correre da Mons. Prevosto e di avvertirlo dei miei sospetti, ed insieme escogitammo di venire in aiuto dei prigionieri. Mons. Prevosto fece subito i passi opportuni presso il comando militare che trovavasi presso le scuole D. Chiesa ed ebbe come risposta di star tranquillo che non c'era nessuna disposizione a carico degli indiziati. Non fui contento della risposta e pensai di sollecitare Mons. Prevosto che avesse a conferire nuovamente con l'autorità militare. Difatti verso le ore 13 lo rintracciai nel locale " Segreteria" della scuola D. Chiesa che, col berretto in mano, in un angolo, attendeva una risposta dal comando.

Io abbordai Monsignore e dissi Monsignore, questa gente ci prende in giro. I 16 giovani li stanno caricando per portarli alla fucilazione al Campo Sportivo. Se non possiamo salvare i corpi, salviamo le loro anime e con Monsignore uscii dalla segreteria ed infatti sul piazzale delle scuole assistemmo a scene veramente incivili. I Condannati a morte sul carro venivano colpiti con pugni e calci dai partigiani presenti. La folla, ebbra di sangue, aizzava i soldati. La maggior parte dei presenti era indignata per queste sevizie verso persone già destinate alla morte, mentre nessuno si opponeva. Con Monsignore corremmo in Basilica a prelevare le Sacre Specie e poi ritornammo sul piazzale. L'autocarro era appena partito. Noi montammo su un'auto e doppio particolare stridente nella dolorosa circostanza: sulla nostra macchina si trovava "Tom" l'arrestatore di Mussolini, che precedentemente era stato portato in trionfo intorno all'autocarro delle vittime, ed anche una spavalda figura vestita da uomo, che poi fu obbligata a scendere, perché incompatibile la sua presenza con i Ministri di Dio che portavano le Sacre Specie.

Nell'ampio campo sportivo il drappello dei sedici Repubblicani, scortati da un plotone di partigiani armati, stava in attesa dell'ordine di fucilazione. Noi chiedemmo di poterli avvicinare e ci fu concessa la massima libertà e tutto il tempo necessario. Subito li invitammo ad uno ad uno al Sacramento della Penitenza e credo tutti ricevettero il conforto religioso. Ci vennero in aiuto due Sacerdoti della Parrocchia, don M. Molteni e don A. Clerici. A mano a mano che i giovani si confessavano ricevevano da Monsignor Prevosto e dal sottoscritto la Santa Comunione con visibile spirito di fede e con profonda commozione. Io ne confessai cinque e dopo, ultimato il mio Ministero, li baciai e chiesi se avessero qualcosa da riferire ai loro Cari lontani. Il primo di disse di no poiché aveva già provveduto. Gli altri quattro scrissero sul retro dell'immagine della Madonna della Vittoria il loro ultimo pensiero che mi feci premura ed un sacro dovere di inviarlo ai loro cari.

Nella foto-galleria: la lapide ai caduti repubblicani imbrattata con la vernice; il biglietto del partigiano che comandò il plotone d'esecuzione.

23 aprile 2012